Da un documentario del 1924 intitolato “Serenità Canavesana”, un estratto di un viaggio del regista Giorgio Ferroni tra le strade e le bellezze di Agliè.
Alle falde delle colline di Macugnano, nel Canavese, si trova Agliè, antica cittadina resa illustre, nel corso della sua storia, da personaggi quali Filippo d’Agliè e Guido Gozzano. Secondo il glottologo Giovanni Domenico Serra, il toponimo Agliè deriverebbe dal nome di un colono romano Allio, quindi Alliacus (terra di Allio), poi per successive trasformazioni Alladium, quindi Agladium. Altre ipotesi fanno derivare il toponimo da Ala Dei (ala di Dio), poiché la pianta del castello originario richiamava la forma di un’ala spiegata verso levante, “da cui sorgerà il vero sole a rischiarare il mondo della pace”.
Il nucleo primitivo, di origine romana, era probabilmente situato sulle colline nella frazione di Santa Maria delle Grazie, già ricordato in documenti del 1019 come Macuncianum (Macugnano), come dipendenza dell’Abbazia Fruttuaria di San Benigno. A quel tempo Agliè era un castello eretto per difendere Macugnano. Successivamente Agliè prese il sopravvento su Macugnano (l’altro centro di Cassadio, ora scomparso) per la sua posizione fortificata. Agliè compare nei documenti per la prima volta nel 1141: i feudatari del Canavese si divisero il territorio e il paese divenne una delle terre dei San Martino di Rivarolo e di Agliè.
I tre centri si riunirono poi a scopo difensivo in un’unica Comunità che nel 1259 rientra nei possedimenti dei San Martino.
Agliè non partecipò al Tuchinaggio, ma subì però le conseguenze delle lotte fra i guelfi San Martino d’Agliè e i ghibellini, Conti di Valperga. Intorno alla metà del XIV secolo il paese fu saccheggiato per due volte da mercenari che risparmiarono il castello. L’imperatore Carlo V, nel 1355, donò ai marchesi di Monferrato molte terre fra cui Agliè. Tuttavia continuarono violenti contrasti tra i feudatari canavesani e Agliè ne subì le conseguenze: razzie, incendi e devastazioni si susseguirono per anni. Nel 1391 arrivò, per merito dei Savoia, la pace. Gli alladiesi chiesero ai loro signori, i Conti di Agliè, alcuni privilegi e concessioni e li ottennero per la fedeltà dimostrata ai loro feudatari al tempo del Tuchinaggio. Nel 1448 vennero concessi gli statuti comunali i cui testi sono tutt’ora conservati nell’archivio del municipio. Con i Savoia crebbe l’influenza dei Conti di Agliè, che estesero i loro poteri su Bairo, Torre, Ozegna, parte di Pont, Salto, Rivarolo e Castelnuovo. Agliè subì le conseguenze della guerra tra Savoia e Francia, avvenuta dopo la metà del XVI secolo. Quando, nel 1561, la pace fu ristabilita, i Conti suoi signori giurarono fedeltà al Duca Emanuele Filiberto di Savoia. Personaggio centrale della storia del paese fu il Conte Filippo San Martino di Agliè, colto letterato, coreografo e politico insigne, nato nel 1604. Intrapresa la carriera delle armi, nel 1630 divenne luogotenente della Compagnia delle Corazze di Vittorio Amedeo I.
Questi morì nel 1637 ed essendo suo figlio Carlo Emanuele II troppo giovane per la successione, la madre Cristina di Francia, figlia di Maria dei Medici ed Enrico IV, assunse la reggenza. La corte ducale si divise in due frazioni: madamisti e principisti. Filippo fu madamista e divenne ministro, consigliere personale e favorito di Cristina. Per le doti diplomatiche e politiche di lui, Carlo Emanuele II riuscì a mantenere il trono. Per il sostegno dato al giovane Duca, Filippo si inimicò parecchie persone tra cui il Richelieu che lo fece arrestare nel 1640. Alla morte del cardinale, Filippo fu liberato ma abbandonò la politica ritirandosi a vita privata nel Castello di Agliè, dedicandosi al suo restauro e ampliamento tale da trasformare la residenza fortificata in sontuosa dimora patrizia, degna dell’alto rango sociale del proprietario. Dal 1642, su progetto che la tradizione non documentata affida all’architetto ducale Amedeo Cognengo di Castellamonte – il famoso architetto che, fra l’altro, progettò insieme al figlio Carlo la struttura della Torino della sua epoca – venne trasformato in un fastoso, imponente palazzo dove ricevere principi e regnanti, tra cui naturalmente Cristina di Francia. Morì nel 1667. Il Castello venne ancora distrutto dalle soldatesche francesi comandate dal La Feuillade nella campagna del 1706 nel periodo dell’assedio di Torino. Per circa 100 anni dopo questo evento nessun lavoro venne eseguito nel castello, se si esclude la scala del Michela nel 1724.
Nel 1764 il feudo di Agliè venne acquistato da Carlo Emanuele III che lo diede in appannaggio al suo secondogenito Benedetto Maria Maurizio, duca del Chiablese. Questi incaricò l’architetto di corte Ignazio Birago di Borgaro di ricostruire e ampliare il castello che subì modifiche sostanziali sul lato verso la piazza. Tra il ’67 e il ’75 vennero costruite la galleria che collega il castello alla chiesa, la chiesa stessa col campanile che sostituì la precedente vecchia torre civica. Il Parco è il risultato di due differenti fasi, la prima settecentesca a cui risale l’Esedra della Fontana dei fratelli Collino; la seconda ottocentesca caratterizzata d adattamenti “all’inglese”; ha un’estensione di circa trenta ettari, attraversato da sette chilometri di viali e sentieri, ricco di piante centenarie. Il progetto è attribuito a Michel Bernard, per la parte settecentesca; la successiva trasformazione a Xavier Kurten. Durante la dominazione napoleonica, Agliè fu invaso dai francesi nel 1796, e il castello fu spogliato di mobili e suppellettili.
Con la Resaturazione il Castello nel 1814 ritornò ai Chiablese. Finita l’era bonapartista, Carlo Felice prese possesso nel 1825 del castello alladiese, facendolo restaurare dall’architetto Borda di Saluzzo che costruì all’interno un piccolo teatro. Con la morte del Re, la Regina vedova Maria Cristina di Borbone divenne l’usufruttuaria, ed alla sua morte (1849) la proprietà passò al secondogenito di Carlo Alberto: Ferdinando, Duca di Genova. Nel 1939, dopo anni di lunghe trattative con aspiranti acquirenti, i principi di Savoia-Genova vendettero allo stato il complesso del castello. Il Castello è oggi monumento nazionale gestito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e patrimonio Unesco dell’umanità insieme al circuito delle Residenze Sabaude.
La cittadina che conta oggi una popolazione di oltre 2600 abitanti ha una posizione di notevole importanza nell’economia agraria e industriale; pregiata è la produzione di vino Erbaluce di Caluso DOCG delle sue colline.
Centro commerciale e turistico di buona affluenza, specie dopo le riprese televisive della fiction “Elisa di Rivombrosa” nel Castello, che hanno avuto risonanza a livello nazionale, ebbe in passato anche importanza nel settore industriale, in particolare di quello del tessile partecipando a partire dal 1700 all’attività tipicamente piemontese della produzione della seta. Verso la metà del 1800 il Setificio di Aglié dava lavoro a circa 400 dipendenti. Nella seconda metà del secolo, nel 1883 sorse un’altra importante industria tessile, la stamperia Blumer che nel 1896 diventò poi la tessitura De Angeli-Frua che agli inizi della seconda guerra mondiale arriverà ad avere oltre 1500 dipendenti. Con la crisi del settore tessile chiuderà i battenti nel 1952 per essere acquistata nel 1955 dalla Olivetti che vi impiantò un’attività meccanica di alta tecnologia e dove venne prodotta anche la storica macchina per scrivere Lettera 22.
Alcune curiosità
MUSEO DEL CASTELLO DUCALE
Piazza Castello 2
Info gruppi e prenotazioni: tel. 0124.330102
e-mail: pm-pie.aglie@beniculturali.it
Ingresso a pagamento: da 4 a 9 € a seconda delle aree visitate (Castello, cucine, appartamento Chierici, giardino e parco)
Il castello di Agliè, costruito originariamente nel 1141, venne distrutto e riedificato più volte. Subì i danni di un assedio e di un sacco nel 1536. Filippo di Agliè, ministro di Maria Cristina, la reggente Madama Reale, ne curò la ricostruzione, finchè fu nuovamente devastato dalle soldatesche francesi. Nel 1764 passò alla Casa Savoia e fu dato in appannaggio al duca di Chiablese che lo migliorò e ingrandì su disegni dell’architetto Birago di Borgaro.
Passò poi ai duchi di Genova di cui fu la dimora preferita. Attualmente è proprietà dello Stato, sotto le cure della Sovrintendenza ai monumenti per il Piemonte.
Il Parco
Il parco ha assunto nei secoli diversi aspetti, l’attuale impianto è il frutto di due fasi differenti: la prima settecentesca a cui risale l’esedra della fontana con gruppi scultorei raffiguranti l’Orco, il Malone e la Dora. La seconda ottocentesca connotata da una impostazione a Parco “all’inglese”. Il giardino, in parte pensile, conserva nell’area di ponente l’impostazione castellamontiana all’italiana composta da vialetti ed aiole con siepi.
IL CASTELLO DUCALE DI AGLIÈ
Il nucleo originario del Castello risale al XII secolo, epoca in cui il casato dei San Martino di Agliè iniziò a dominare il Canavese. Il Castello oggi si presenta in modo unitario, pur essendo il risultato di diverse fasi costruttive, articolatesi tra Sei, Sette e Ottocento. Del periodo medioevale restano oggi alcuni settori di muratura nell’area di nord-ovest del Castello, a testimonianza della prima fortificazione. Negli anni 1646-1657 Filippo di San Martino, consigliere della reggente Maria Cristina di Francia, realizzò la prima fondamentale trasformazione del maniero medioevale in residenza: il progetto, che la tradizione fa risalire ad Amedeo di Castellamonte, prevedeva un doppio affaccio verso il parco-giardino e verso il borgo. A questa fase risale la splendida facciata verso il giardino e i due grandi cortili interni, intorno ai quali si svilupparono gli appartamenti, collegati da lunghe gallerie. Sugli angoli della struttura erano poste delle alte torri secondo lo schema “a padiglione”. Della fase seicentesca si conserva lo splendido Giardino all’italiana collocato sulla sinistra della facciata d’ingresso al Castello, con il gioco di intersezioni delle siepi di bosso.
Quasi un secolo dopo, nel 1764, il Castello venne acquistato da Carlo Emanuele III di Savoia per farne la residenza del figlio secondogenito Benedetto Maria Maurizio duca del Chiablese. Prese così consistenza un nuovo grandioso progetto di riqualificazione e di ampliamento del complesso, che prevedeva la ridistribuzione degli appartamenti ducali nella zona nord verso il Borgo, realizzata dall’architetto Ignazio Birago di Borgaro. Questi chiamò ad Agliè artisti ben noti alla corte: il Collino per la statuaria delle fontane, lo stuccatore Bolina per gli apparati decorativi del grande atrio d’ingresso o Salone di caccia. Anche i giardini, le cascine e i mulini vennero risistemati ad opera di Michel Benard. A questa fase risale anche la costruzione della Fontana dei Quattro Fiumi.
Durante l’occupazione napoleonica (1802-1814) il Castello venne in parte trasformato in ricovero di mendicità e gravemente spogliato dei suoi arredi più preziosi, che presero la via della Francia. Attraverso Marianna, vedova di Benedetto Maria Maurizio, il Castello passò in eredità al fratello Carlo Felice, la cui vedova Maria Cristina (1849), inaugurò una nuova stagione di ripristino e riallestimento delle sale: l’aggiornamento degli appartamenti, secondo il nuovo gusto impero italiano, venne affidato all’architetto Michele Borda di Saluzzo. Ancora una volta, l’architetto condusse ad Agliè maestranze e artisti di corte: Paolo Cremona per gli stucchi della Cappella di San Massimo e Luigi Vacca per il Teatrino, ricavato nello spazio della Cappella di San Michele, ipotetico pendant di quella di San Massimo, che non fu mai realizzata. Le pareti di molti saloni, la Galleria Verde e gli appartamenti del secondo piano vennero rivestiti in papiers-peints, carte da parati dipinte a mano. Venne allestita la Sala Tuscolana, all’interno della quale è conservata la ricca raccolta archeologica della colta e raffinata coppia reale, con importanti reperti di epoca romana.
Nel 1839, infine, si avviarono gli imponenti lavori di trasformazione del parco-giardino all’italiana in chiave paesaggistica: le rigorose simmetrie del Sei e Settecento vennero sostituite da boschi, radure, percorsi tortuosi; il grande bacino circolare in fondo al parco fu trasformato nel lago attuale, con isolotto e reposoir. Con la morte di Maria Cristina avvenuta nel 1849, il Castello passò in eredità a Carlo Alberto e al figlio cadetto Ferdinando, primo Duca di Genova.
Nel 1939 lo Stato acquista dai duchi di Genova le proprietà di Agliè e di Torino.
CHIESA DI SANTA MARTA
Nel cuore di Agliè si trova la chiesa di Santa Marta. Della vecchia chiesa, purtroppo, si sa solamente che esisteva già nel 1619, ed il 21 dicembre 1595 era stata concessa la facoltà di celebrarvi la S. Messa. Quando, nel 1730, il piccolo oratorio fu dichiarato inagibile, il progetto per la realizzazione di una nuova chiesa adatta alle nuove esigenze fu affidato all’architetto alladiese Costanzo Michela.
La modellazione esterna non segue quella interna ma ha una sua logica legata al contesto ambientale. La struttura appare in tutta l’elegante semplicità del cotto piemontese, arricchito solamente dalle terrecotte smaltate policrome di Castellamonte. Rispetto alla tradizione locale qui il mattone diventa un’esplosione di colore: la facciata concava è giocata su parti curve e parti piane che creano un effetto pieno-vuoto, luce-ombra da cui emergono pulsanti volute.
Il fianco sinistro della chiesa è reso ancora più musicale dal curioso campanile triangolare costruito nel 1787 da Giuseppe Domenico Morano su disegno dello stesso Michela.
Passando all’interno, si notano lo stucco che non ha solo valore decorativo ma, con il suo bianco, la scultura lignea e gli arredi, diventa una sorta di architettura dando luogo ad una situazione atipica nella cultura italiana, ma frequente nelle architettura spagnole.
Lo spirito di estrema libertà si nota anche nel continuo gioco di curve che divide l’interno in spazi definiti: una zona per i fedeli con due altari e la tribuna sul portale per il coro, il presbiterio, le tribune per gli associati alla confraternita, la sacrestia, il bellissimo coro ligneo per i confratelli a cui si accede tramite due scalette laterali semiellittiche in pietra. Anche gli arredi entrano a far parte dell’architettura della chiesa; emerge tra essi l’icona centrale raffigurante l’Assunta, santa Marta con il drago (simbolo della Santa che si ritrova anche nei capitelli del coro con catene come festoni) e san Giovanni Battista, incassata in una ricca cornice lignea laccata e dorata opera dello scultore Giuseppe Argentera di Ivrea.
Degna di menzione la copia della SS. Sindone, opera di un certo Fantinus, datata 1708.
CHIESA PARROCCHIALE DI SAN MASSIMO
L’edificio attuale è stato costruito nel 1773 su progetto di Ignazio Birago di Borgaro già impegnato nel castello, nell’ambito della ristrutturazione voluta dal Duca del Chiablese intorno al 1770. Nel 1754 la chiesa parrocchiale, dedicata a S. Maria ad Nives, si trovava in posizione diversa rispetto all’attuale; posta nelle vicinanze del castello feudale era separata da quest’ultimo mediante un fossato difensivo, oltrepassabile tramite un ponte di legno. Il 14 settembre 1777 si celebrava la consacrazione della chiesa con il nome della Madonna della Neve. All’interno della chiesa, emerge un piacevole movimento di linee ed ombre nei costoloni, nelle cornici delle finestre e nei capitelli conferito alla struttura dai raffinati stucchi opera del Bolina. La pianta è a croce latina ad una sola navata. All’altezza del transetto al centro è stato inserito il nuovo altare verso il popolo, sostenuto da quattro angeli di legno dorato. La tela dietro l’altare maggiore rappresenta la Madonna con il Bambino Gesù, circondati da angeli: uno di questi offre alla Vergine il plastico della basilica romana di Santa Maria Maggiore, detta, secondo la tradizione, “della neve”.
Il baldacchino sull’altare maggiore, con gli stemmi del comune e della dinastia sabauda, fu costruito nel 1877. Nel coretto, sul lato destro del presbiterio, è sistemato l’organo. Nel transetto, alla sinistra, vi è l’altare dedicato alla Madonna del Rosario, l’altare dedicato agli alladiesi e quello dedicato all’Immacolata.
Alla destra troviamo l’altare dedicato a San Massimo vescovo di Riez, patrono di Agliè; in una piccola urna posta sull’altare, sono conservate le reliquie di San Massimo; proseguendo, si può ammirare l’altare di San Giovanni Bosco, ed infine quello di San Luigi Gonzaga.
VILLA MELETO
Via Meleto, 23
Orari: Dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.00
Tariffe: biglietto d’ingresso 5 €
Per maggiori informazioni prima di programmare la vostra visita potete telefonare al numero 0124.330150
La Villa è stata la residenza del poeta Guido Gozzano e oggi è trasformata in casa museo della memoria gozzaniana. La villa come appare oggi è il risultato di un abbellimento che il poeta vi apportò nel 1904, affascinato dal liberty francese. Visitabili anche il piccolo giardino romantico e il viale d’ingresso fiancheggiato dal noto meleto da cui prese il nome la proprietà.
Si possono vedere anche i resti del casotto nei pressi del laghetto e della villa Meleto di Agliè in cui era solito sostare, scrivere e allevare amorevolmente le proprie crisalidi, il poeta Guido Gozzano. All’interno della dimora potrete vedere il famoso salotto di Nonna Speranza dove trovare le “le buone cose di pessimo gusto!” e “il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti, i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro, un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col mònito, salve, ricordo, le noci di cocco, Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po’ scialbi, le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici…” e poi la sala da pranzo, lo studio con la biblioteca e la camera da letto del poeta con la collezione di farfalle e l’angolo dei ricordi del viaggio in Oriente.
SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE
Secondo un’antica tradizione poco distante dalla chiesa attuale, c’era un pilone con un affresco della Madonna; con il tempo il pilone si trasformò i chiesetta e, già nel 1571 troviamo citate due “cappelle rurali”: San Pietro e Santa Maria. Dopo la firma della pace del 7 ottobre 1659 ad Ivrea, le terre della collina di Macugnano progressivamente si ripopolarono e, trovando solo l’affresco della Madonna come unico resto della chiesa, pensarono di riedificarne un’altra un po’ più a valle vicino all’abitato. Circa sessanta anni dopo, data l’inadeguatezza di questa struttura ad accogliere i pellegrini, si decise di realizzare una nuova chiesa più grande e decorosa. I Tre Ciochè tra il 1738 ed il 1746 il progetto della costruzione fu affidato all’architetto alladiese Costanzo Michela che decise di incorporare la struttura esistente nella nuova costruzione. L’interno della chiesa è a croce latina con due altari laterali e due sacrestie.
L’altare maggiore in marmo è dedicato alla Beata Maria Vergine della Neve e nel coro è posto l’antico affresco della Madonna racchiuso in una cornice di legno. Nell’altare destro si trova un’icona firmata Joseph Chiantor – 1815 che rappresenta la Trinità. Quello di sinistra ha un’icona raffigurante la Madonna degli Angeli. Sotto la mensa sono ancora riposte le reliquie di Santa Vittoria. In una nicchia, alla destra dell’altare maggiore, è custodita la statua lignea della Madonna delle Grazie che ogni anno viene portata in processione. Esternamente la facciata è sottolineata da una balaustra e da un particolare coronamento del tamburo. Il santuario si distingue, inoltre, per i due suoi campanili e per l’altra lanterna, proprio questa sua caratteristica le ha conferito il nome “tre ciochè”.
CHIESA DI SAN GAUDENZIO
Originariamente, la chiesa di San Gaudenzio risultava essere situata fuori le mura. Le prime notizie risalgono al XIV secolo. Nel 1329 la chiesa risulta essere Parrocchiale.
Alla fine del ‘500 la chiesa fu chiusa perché risultava in pessime condizioni. Nella seconda metà del seicento la chiesa venne radicalmente restaurata al fine di assumere quella che ancor oggi è la sua struttura. Nell’800, per rispondere all’Editto napoleonico di Saint Cloud, si spostò il cimitero sul lato destro della chiesa affinché rimanesse fuori delle mura del paese.
Oggi la facciata esterna è contraddistinta da un grande portale di ingresso racchiuso tra due coppie di lesene mentre sopra si trova ancora l’antica apertura circolare. Il timpano, con al centro la statua in cotto di San Gaudenzio, incornicia la lineare facciata da cui fa capolino il piccolo campanile triangolare.
Internamente la chiesa ha mantenuto la struttura originale a navata unica con quattro cappelle laterali. Sull’altare maggiore si erge lo splendido Crocifisso in legno dello scultore Carlo Giuseppe Plura di Lugano (1655 – 1737). Al centro del presbiterio una lastra di pietra chiude la cripta sotterranea dove, fino all’800, venivano sepolti i parroci di Agliè. Sul lato destro la prima cappella appartenne, fino al secolo scorso, ai Conti di Pavignano mentre la seconda alle famiglie Mautino e Danesio (qui è sepolto Guido Gozzano). Di fronte a questa, sull’altro lato della chiesa, si trova la cappella della famiglia Bioletto ed infine quella della famiglia Prola.
CHIESA DI SAN ROCCO
Fu edificata dagli alladiesi nella prima metà del 1600 quando cessò la grande epidemia di peste. La dedica a San Rocco è giustificata dal fatto che il santo, tre secoli prima, aveva dedicato la sua breve vita alla cura degli appestati contraendo la malattia. Venne abbattuta nel 1931 e, del vecchio edificio, ricostruito nelle vicinanze, si mantenne solo l’icona centrale, la statua in legno del Santo e l’orologio del campanile.La costruzione attuale imita lo stile neo-romantico con soffitto a capriate a vista. Internamente, ai lati dell’icona centrale raffigurante la Madonna, San Giovanni Battista, San Rocco e San Sebastiano, troviamo due affreschi firmati L. Perrone che rappresentano a sinistra San Giuseppe ed a destra San Gaetano. Le pareti sono state recentemente ridipinte dal pittore Gilardi che con originali prospettive ha dato un nuovo volto all’interno di questa chiesetta
CHIESA DI SANT’ANNA
Eretta, probabilmente, nella prima metà del XVII secolo, di proprietà della famiglia Mautino, era dotata di una cancellata in legno e di un portico con colonne in mattoni. La cappella, situata in una zona d’Agliè ancora oggi detta “il Bioletto”, ha conservato la sua struttura originaria, tipica di quasi tutte le cappelle della zona.
Ad unica navata coperta con una volta a botte e l’abside semicircolare crea una semplice cornice alla bella icona, originale ed ancor oggi situata sull’altare, rappresenta la Beata Maria Vergine, Sant’Anna, San Francesco e San Carlo. Esternamente si può notare il piccolo portico anteriore, i contrafforti alla parete esterna dell’abside e i semplicissimo campanile a vela.
CHIESA DI SAN GRATO
La primitiva cappella dedicata a San Grato, risale all’incirca, tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. La struttura ha negli anni, subito vari cambiamenti come, per esempio, la facciata settecentesca ed il campanile, eretto nel XIX secolo, che si innesta in posizione angolare al di sopra dell’antica cappella. La costruzione originaria della cappella, che fu poi inglobata negli ampliamenti successivi, è ancora in parte visibile nel prospetto laterale dell’attuale chiesa, che si affaccia sulla strada. Le cornici che si sono conservate rivelano che questa, verso sud, era in origine la facciata principale.
Oggi, invece, la chiesa è rivolta verso est ed è a due navate, con annesse la sacrestia e la casa del cappellano. All’interno, completamente affrescato, emerge l’elegante altare barocco, con sopra una pala, recentemente restaurata, raffigurante San Grato, che occupa lo spazio appartenuto alla vecchia cappella. Sotto la mensa è conservato un reliquario, appartenuto sicuramente alla precedente struttura, con le reliquie di San Grato.
IL LAGO DELLA GERBOLA
Lasciando Piazza Mautino e svoltando a destra si percorre la strada per Cuceglio che nel primo tratto costeggia il muro di cinta del Parco del Castello. Dopo circa 1 Km (dopo la salita) a destra si trova la strada che porta al lago della Gerbola nascosto alla vista degli alberi.
Vi si pratica la pesca sportiva.
CALICI TRA LE STELLE – LA STORIA
Agricoltori, produttori e trasformatori agro-alimentari, ovvero coloro che rappresentano il Gusto, sono i protagonisti diretti della manifestazione: presentano i loro prodotti e i cibi con essi preparati, raccontano i loro vini e i migliori abbinamenti con i piatti serviti. I produttori vitivinicoli del Canavese, grandi protagonisti della manifestazione, terranno le cantine aperte il giorno seguente in modo tale da far vedere ai visitatori la qualità del proprio duro lavoro.
In Agliè il prodotto enogastronomico per eccellenza, simbolo del paese, è il Torcetto, del quale si ha traccia già nel libro “Confetturiere piemontese” nel 1790. In uso nelle cucine della famiglia Reale Sabauda venne inventato da un panettiere di Agliè, a cui, mentre impastava il pane, avanzò della pasta che decise di mescolare con burro e uova, passandoli poi nello zucchero semolato o nel miele.
Il Castello Ducale costituisce il perfetto sfondo per un evento scenografico di grande suggestione nel quale l’enogastronomia, costituita dalle migliori aziende vitivinicole D.O.C.G. canavesane e dai Maestri del Gusto locali, si fonde con la cultura e la musica: esperti sommelliers saranno a disposizione per guidare gli ospiti in questo percorso di delizie per il palato e la gola. Questo incontro fra arte, cibo, prodotti della terra e cultura, senza dimenticare che qui si trova anche Villa Meleto dove a lungo visse e scrisse il poeta Guido Gozzano, ha fatto di Agliè la sede ideale per il Convivium, una sorta di sintesi degli eventi, che consisterà in una serie di cene tematiche e storiche preparate da cuochi “stellati”.